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Un diario dove annoto, con testi e foto, le tradizioni dell'Umbria, i miei pensieri sull'attualità, qualche buona ricetta e le tante curiosità che attraggono la mia attenzione. Buona lettura. Agnese Benedetti

07 Apr

Dialetto umbro: bàtticia, battisteru, Madonna del petrolio,cuturèlla e coccétta

Pubblicato da berenice  - Tags:  #Dialetto umbro

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La Pasqua cristiana, dei Cattolici e Protestanti, quest'anno cade in aprile, secondo il calcolo effettuato con l'epatta che è l'età della luna al primo gennaio. Il plenilunio successivo all'equinozio di Primavera determina la domenica di Resurrezione. 

Se in questo 2012 la Pasqua è domani 8 aprile, nel 2013  la festa sarà il 31 marzo, nel 2014 il 20 aprile.

Passano gli anni, dunque, passano le Pasque, ma certi termini dialettali restano nell'uso linguistico a ricordarci emozioni, gioia, curiosità, almeno fin quando dureranno le tradizioni che li comprendono.

Ecco, allora, alcuni dei termini tipici della settimana santa umbra,che caratterizzano le usanze in vigore soprattutto in Valnerina:

 

Bàtticia: in italiano battola, al plurale batticie, è una tavoletta di legno con impugnatura su cui è fissata una piastra di ferro con due maniglie mobili, una per ogni faccia. Agitando velocemente la tavoletta si produce un suono frastornante usato il Venerdì Santo per sostituire le campane nell'annuncio della liturgia di Passione. I sinonimi dialettali di bàttice sono màrtore, màrturelle, nacchere e raganelle. Questi rudimentali strumenti venivano percossi ripetutamente dai ragazzi per le strade dei paesi, prima dell'inizio delle Via Crucis e durante le Processioni del Cristo morto, al posto delle campane  tenute legate dalla sera del Giovedì Santo fino alla domenica. Il suono tetro delle batticie contribuiva a infondere maggiore contrizione nei fedeli. Batticia è usato anche per apostrofare una persona particolarmente loquace: " Séntili quilli che litigano su la televisione, so pègghio de na batticia, non rignottono mai!"  Ascolta quelli che litigano in televisione, sono peggio di una battola, non inghiottono mai (la saliva)!"

 

Battisteru: ha il significato di battistero dal verbo battere. Anche lu battisteru è un'usanza del Venerdì Santo che consiste nel percuotere con furia il pavimento della chiesa con lunghi bastoni a ricordo della flagellazione subita da Cristo dopo la sentenza di Pilato. La memoria popolare quantifica quel supplizio in 6666 colpi di frusta. Al termine della sacra funzione del Venerdì, spente le luci, nel buio più totale i ragazzi iniziavano a battere le verghe preparate per l'occasione.

Oggi l'usanza è difficilmente rinvenibile ma il termine battisteru viene usato ancora per minacciare punizioni corporali: "Se non te la smitti te passo un battisteru, che te ne ricordi finché campi!"  Se non la smetti ti passo un battistero, che  ricorderai finché vivi!

 

Madonna del Petrolio: l'attribuzione, che non rientra tra quelle riconosciute dalla Chiesa, è stata ironicamente inventata dal popolo e insieme all'espressione Madonna Addolorata, viene usata per apostrofare una donna dal particolare abbigliamento o atteggiamento. Se l'Addolorata è colei che mostra un'espressione estremamente infelice, quella del Petrolio è una persona carica in eccesso di ori o di altri abbellimenti, come le statue delle Madonne recanti abbondanti ex voto rischiarati un tempo da lampade a petrolio tenute accese per devozione. 

"Tòcca dillo: in Italia ci sta chi va in giru come la Madonna del Petrolio e chi non ja a fà mancu a magnasse un pizzittu de companaticu!" Bisogna dirlo: in Italia c'è chi va in giro (carico) come la Madonna del Petrolio e chi non ce la fà nemmeno a mangiare un pezzetto di companatico!

 

Cuturella o cuzzurella, coccétta: i primi due termini sono sostantivi derivati dal verbo cuturare o cuzzurare che significa ruzzolare e, in questo caso, riproduce il movimento che fanno le uova sode dipinte con cui si gioca il giorno di Pasqua. I giochi della cuturella e della coccétta spopolavano tra i bambini fino a qualche anno fa. Le uova venivano fatte bollire con ortaggi  e erbe coloranti, come cicorie, carote, cipolle, zafferano, rape. Sul guscio raffreddato e colorato si facevano cadere gocce di cera per aumentare i decori. Nel pomeriggio della festa i fanciulli si sfidavano a far cuturare le uova su una superficie liscia: quello arrivato più lontano senza rompersi garantiva la vittoria al lanciatore. Nella sfida della coccetta (A Ferentillo-TR chiamata gara de lu ciuccittu) le uova sode venivano sbattute l'una contro l'altra per i gusci (còcce: la vittoria andava a quello più resistente. Il termine coccétta è, dunque, diminutivo di còccia che significa guscio.

Còccia è il guscio dell'uovo, della noce, delle mandorle, delle ghiande e il guscio di ogni seme ricoperto da un involucro duro compresa la buccia dei legumi nel baccello. "Le cocce delle fave, dei facioli e de la linticchia, certe vòrde non se diligiriscono" ( Le bucce delle fave e dei fagioli alcune volte non si digeriscono).

Còccia, per estensione, è anche il cranio o capòccia, soprattutto delle persone. "Ci ha na còccia dura che ce se po' giocà a cuzzurella!" (Ha una testa così dura che ci si può giocare a ruzzoloni). Nel significato di cranio è comune anche l'espressione "còccia pelata"  per indicare una testa calva.

 

E terminiamo con la parola scampanegghienno, scampaneggiando, che significa suonare le campane a distesa portando l'annuncio della Rinascita e della vita nuova. La Pasqua è soprattutto un passaggio e la Resurrezione è la celebrazione massima della speranza, acme del messaggio cristiano.

Ma se proprio vogliamo metterci quel pizzico di ironia, scampanegghiare vuol dire anche mettere eccessivamente in mostra e alla conoscenza di tutti i propri fatti privati. 

Vero è che, pur nella comunione, a volte un po' di sobrietà e di discrezione, forse, non guastano.

 

(Le uova della foto sono state fetate dalle galline della signora Elia di Vallo di Nera, raccolte da lu patullu (pollaio) e conservate nella canestra per gli usi di Pasqua.)

 

 

(Continua. Arrivederci alla prossima volta e intanto per chi volesse c'è anche   Dialetto umbro: liscìa, simitti, cappamandelle, lippe lappe, lippichegghià )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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