I nomi delle vacche di Vallo di Nera
Una coppia di bovini intenti ad arare i campi (Foto La Valnerina)
C'è stato un tempo, almeno fino a cinquant’anni fa, in cui nei paesi della Valnerina le vacche erano presenti in tutte le stalle. Insieme agli asini e ai muli costituivano il patrimonio strumentale di ogni famiglia: necessarie per lavorare i campi e per tirare i carri, soddisfacevano anche i bisogni alimentari procreando vitelli da carne e producendo latte fresco da bere o da trasformare in formaggi e ricotta.
L’emigrazione degli abitanti verso le città, la meccanizzazione e la trasformazione degli immobili rustici in taverne o mini appartamenti hanno sbaragliato la vecchia economia domestica e delegato l’approvvigionamento del cibo al mercato organizzato, cosicché gli allevamenti hanno cambiato fisionomia. Non più diffusi casa per casa, ma sistemati in grandi progetti aziendali.
Di quelle presenze è restato ben poco, mentre è stata conservata una memoria viva nelle persone che ricordano ancora i nomi assegnati a ciascun animale.
A Vallo di Nera raccontano a mo’ di filastrocca che a metà Novecento nella stalla di Andrea Ridolfi, contadino fantasioso, vivevano contemporaneamente:
Capitano e Bersagliere,
Barona e Cittadina,
Capricciosa e Brillantina.
I primi due erano una coppia di buoi destinati al giogo e al birroccio, le seconde erano vacche, le terze giovenche.
Dopo di loro vennero Pulcinella, Parmigiana, Campagnola e Montagnola.
Il somaro si chiamava Poponese e la mula Rosina.
In un’altra stalla c’erano Biancuccia, Paesana, Bianca, Caporoscia e, vicino, Ciuchetta, La Maremmana, La Mora e Broccoletta; bovini di razza Chianina, Maremmana o Bruna, con nomi ispirati alle loro caratteristiche fisiche e funzionali o ai comportamenti più o meno vivaci.
Sin dalla mattina presto, nella buona stagione, le vacche venivano condotte al pascolo mentre d’inverno le mangiatoie o rippie erano riempite di fieno e murricchi, cioè fascetti di fronde tagliate dagli alberi con la ronchetta (roncola).
Dare un nome proprio agli animali domestici, soprattutto a quelli di grossa taglia, era una consuetudine irrinunciabile che fissava l’appartenenza dell’animale al nucleo familiare e che, alla luce di recenti ricerche, può essere considerato persino fruttuoso. Secondo uno studio dell’Università di Newcastle, diffuso dall’Esigea ente di sviluppo per l’energia e l’ambiente, le mucche ‘battezzate’ arriverebbero a produrre decine di litri di latte in più: il nome permetterebbe lo sviluppo della personalità, uno stato di felicità e di relax favorevole alla lattazione. Come a ribadire che a nessuno piace confondersi nella mischia.
A Vallo di Nera per ora i bovini rimasti sono quattro e di razza chianina: la quieta Pomposina, l’esuberante Rondinella e i loro due figli-vitelli Cardellino e Leoncino.
La tradizione continua.